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Sugli atti costitutivi dei trust si applica solo l’imposta in misura fissa

Con alcune recenti sentenze in materia di trust la Suprema Corte ha evidenziato la necessità di operare una lettura delle norme in materia di successioni e donazioni nonché di imposta ipotecaria e catastale coerente con i principi costituzionali. Perciò anche la trascrizione di atti o di sentenze che non importano trasferimenti di proprietà di immobili né la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, è soggetta ad imposta fissa prevista dall’articolo 4 della Tariffa di cui al decreto legislativo 347/1990 (Cassazione, 29505/2020 e 29507/2020). Si tratta di un’occasione assai significativa, colta dalla Suprema Corte, che ha svolto un intervento, a più riprese ben impiantato nei principi costituzionali, a tal punto da richiamare essa stessa diversi interventi della Consulta.

Ferma restando l’indubbia discrezionalità del legislatore nell’individuare i presupposti del tributo, quest’ultimo deve pur sempre muoversi in un ambito di ragionevolezza, e di non arbitrio (Corte Costituzionale, sentenza 83/2015), perché la capacità contributiva, in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese, esige l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza (così Corte Costituzionale, ordinanza 394/2008). La Corte perviene, in tal modo, ad una lettura costituzionalmente orientata della normativa (articoli 53 e 23 Costituzione), attribuendo giusto rilievo al fatto che l’imposta disciplinata dal Dlgs 346/1990, non può non essere posta in relazione con «un’idonea capacità contributiva». Nell’ambito concettuale dei negozi costitutivi di vincoli di destinazione sono senza dubbio compresi gli atti di destinazione di cui all’articolo 2645 ter Codice civile, come pure qualsiasi atto volto alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, e dunque anche l’istituzione di un trust, ma ciò non è sufficiente a giustificare l’applicazione dell’imposta in questione, perché deve operarsi un effettivo trasferimento di ricchezza, che sia indice di un’acquisita maggiore capacità contributiva.

Oggetto di imposizione era, nella specie, l’atto di costituzione di un trust, che veniva contestualmente dotato di beni immobili, diritti reali e partecipazioni societarie, il cui scopo era quello di gestire i beni in esso conferiti per poi devolverli ai beneficiari, solo successivamente individuati.

La Corte ricorda che l’articolo 2, del Dl 262/2006, convertito con modifiche nella legge 286/2006, al comma 47 ha istituto l’imposta sulle successioni e donazioni «sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54».

Nel reintrodurre nell’ordinamento l’imposta sulle successioni e donazioni (abrogata dall’articolo 13 della legge 383/2001), la norma appena riportata ha rimodulato la configurazione del tributo, ampliandone la base impositiva con l’inclusione di tutti i trasferimenti a titolo gratuito ed anche degli atti con cui si costituiscono vincoli di destinazione.

È evidente che l’estensione dell’imposizione al più ampio genus degli atti a titolo gratuito (rispetto alla species delle sole liberalità previste in origine dall’articolo 1 del Dlgs 346/1990) conduce a correlare il presupposto del tributo all’accrescimento patrimoniale del beneficiario, anziché all’animus donandi, non presente negli atti a titolo gratuito diversi dalle liberalità.

Gli stessi principi valgono anche per la costituzione di vincoli di destinazione, che difettano del reale trasferimento di beni o diritti, quindi del reale arricchimento dei beneficiari.

Anche per quanto riguarda la costituzione dei vincoli di destinazione, la Corte, superando le incertezze interpretative originariamente sorte, è oramai consolidata nel ritenere che l’articolo 2, comma 47, citato abbia mantenuto, come presupposto impositivo quello stabilito dall’articolo 1 del Dlgs 346/1990, e cioè il «reale trasferimento» di beni o diritti, e quindi il «reale arricchimento» dei beneficiari, aggiungendo espressamente, tra gli atti suscettibili d’imposizione, oltre ai trasferimenti a titolo gratuito, anche la costituzione dei vincoli di destinazione, per evitare che un’interpretazione restrittiva, determinata dal rinvio all’abrogato Dlgs 346/1990, potesse portare, in tali ipotesi, all’esclusione dell’imposta, che invece non era contemplata nel medesimo decreto perché, all’epoca, la costituzione di tali vincoli non era ancora prevista nel nostro ordinamento (così Cassazione, 1131/2019; 19167/2019; 8082/2020).

L’apposizione del vincolo sui beni conferiti in trust non determina alcun arricchimento.

Non rilevano, perciò, ai fini dell’articolo 53 della Costituzione, in termini di capacità contributiva né l’istituzione del trust né il conferimento in esso dei beni che ne costituiscono la dotazione. Essi non integrano un trasferimento imponibile. Costituiscono atti neutri, che non danno luogo ad un passaggio effettivo e stabile di ricchezza. Anche la sfera delle revocatorie, perciò, è civilisticamente implicata in questi principi di diritto assai nitidi nella loro correlazione alla Costituzione.

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