L’ex amministratore non risponde della fattura falsa.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9753, depositata il 22 marzo, è tornata a pronunciarsi in tema di reati tributari e responsabilità dell’ex amministratore, conformandosi all’orientamento sinora espresso (cfr., Cass. Sent. n. 23229/2012).
La fattispecie in esame trae origine dall’adozione della misura cautelare dell’interdizione, per la durata di un anno, dall’esercizio della qualità di imprenditore commerciale e di amministratore di società commerciali, emessa nei confronti dell’ex amministratore di una società, poiché indagato per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex articolo 2 D.Lgs. 74/2000.
Avverso tale provvedimento cautelare veniva proposta istanza di revoca dinanzi al giudice per le indagini preliminari del competente Tribunale, che però la rigettava con ordinanza. Seguiva atto di appello dinanzi al Tribunale del riesame di Brescia, ma, ancora una volta, la richiesta dell’indagato veniva respinta.
Pertanto, avverso quest’ultima ordinanza l’ex amministratore proponeva ricorso per cassazione, deducendo i vizi di violazione di legge e motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del concorso di persone nel reato di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000.
In particolare, il ricorrente evidenziava che i giudici di appello avessero erroneamente fondato la statuizione di rigetto su una pronuncia inconferente (si trattava della sentenza n. 1485/2016 della Corte di Cassazione), dal momento che le condotte poste in essere differivano da quelle valutate nella pronuncia indicata; inoltre, questi evidenziava di aver provveduto soltanto ad annotare le fatture oggettivamente inesistenti nel periodo in cui era amministratore, ma che non si era successivamente ingerito nella gestione societaria, né tantomeno aveva avuto rapporti con il successivo amministratore, il quale aveva presentato la contestata dichiarazione fiscale.
Da ultimo, l’indagato richiamava la sentenza n. 23229/2012 con cui la Corte di Cassazione aveva sancito l’irrilevanza della mera condotta di registrazione delle fatture nei registri Iva, ed evidenziava che non vi fossero elementi per ritenere la gravità indiziaria del concorso di persone nel reato.
Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto fondato tale motivo di ricorso, evidenziando come il Tribunale del riesame, chiamato a valutare la sussistenza della gravità indiziaria in relazione all’imputazione elevata dal P.M., abbia rigettato l’appello con argomenti errati in diritto.
Al riguardo, i giudici di vertice hanno valorizzato gli elementi addotti dall’indagato, ossia l’intervenuta cessione delle quote sociali e la consegna nello stesso giorno di tutta la documentazione della società al nuovo legale rappresentante; inoltre, questi hanno evidenziato la presentazione della dichiarazione Iva da parte del nuovo legale rappresentante, la circostanza che il reato di cui all’articolo 2 D.lgs. 74/2000 può essere commesso soltanto dal legale rappresentante e, infine, l’irrilevanza della sola annotazione nelle scritture contabili delle fatture per operazioni inesistenti.
Quindi, contrariamente a quanto indicato nell’ordinanza impugnata, così come affermato dalla Suprema Corte, non è irrilevante la circostanza della presentazione della dichiarazione Iva da parte dell’indagato o di altro soggetto, in quanto compito del Tribunale del riesame è proprio quello di verificare se effettivamente il ricorrente sia l’autore della condotta tipica.
Sotto tale profilo, i giudici di legittimità hanno rilevato che il Tribunale del riesame non ha fatto buon governo dei principi in materia, secondo cui: «In tema di reati tributari, non risponde del reato di cui all’art. 2 D.lgs. n. 74 del 2000, nemmeno a titolo di tentativo, l’amministratore di una società il quale, dopo aver acquisito e registrato una fattura per operazioni inesistenti, sia cessato dalla carica prima della presentazione della dichiarazione fiscale per la cui redazione la medesima fattura venga poi utilizzata dal suo successore».
Inoltre, si è altresì rammentato che: «In tema di reati tributari, i delitti di dichiarazione fraudolenta previsti dagli artt. 2 e 3, D.lgs. n. 74 del 2000, si consumano nel momento della presentazione della dichiarazione fiscale nella quale sono effettivamente inseriti o esposti elementi contabili fittizi, essendo penalmente irrilevanti tutti i comportamenti prodromici tenuti dall’agente, ivi comprese le condotte di acquisizione e registrazione nelle scritture contabili di fatture o documenti contabili falsi o artificiosi ovvero di false rappresentazioni con l’uso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento».
Sulla scorta di tali argomentazioni, quindi, la Corte di Cassazione ha disposto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata per un nuovo giudizio.