Inesistente solo il credito fittizio non rilevabile con il 36 bis e 36 ter
Per credito inesistente deve intendersi il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non risulti riscontrabile mediante l’attività di liquidazione e controllo di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del Dpr 600/1973 nonché dell’articolo 54-bis del Dpr 633/1972.
A stabilire questo importantissimo principio di diritto è la Corte di cassazione con la sentenza 34445 del 16 novembre 2021, la quale ripudia espressamente i precedenti della stessa Corte, con i quali era stato affermato che risulta privo di senso il distinguo tra credito non spettante e credito inesistente.
La questione oggetto della sentenza ha origine dal termine decadenziale stabilito dall’articolo 27, comma 16, del Dl 185/2008, in base al quale lo specifico atto di recupero per l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti deve essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo. La Cassazione rileva che la definizione di credito inesistente si desume (ora) dall’articolo 13, comma 5, del decreto legislativo 471/1997, secondo cui si considera tale il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del Dpr 600/1973 e all’articolo 54-bis del Dpr 633/1972.
Devono dunque ricorrere – secondo la Corte (come precisato anche dal principio di interpretazione) – entrambi i requisiti per considerare inesistente il credito: ne deve mancare il presupposto costitutivo; l’inesistenza non risulti evincibile dai controlli automatizzati o formali o dai dati in possesso dell’amministrazione.
La sussistenza, dunque, di uno solo di essi non può determinare la configurazione di un credito inesistente ma di un credito non spettante.
Quanto alla mancanza del presupposto costitutivo, per considerare il credito inesistente si deve trattare – sempre secondo la Corte – di situazione non reale o non vera «ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza». Non è un caso – osserva sempre la Corte – che il più ampio termine per la notifica dell’atto di recupero (31 dicembre dell’ottavo anno successivo) riguardi necessariamente una fattispecie più ristretta, evidentemente ritenuta più grave.
In sostanza, si può giungere alla conclusione che la generalità dei casi relativa alle indebite compensazioni rientra certamente nelle ipotesi di utilizzo di crediti d’imposta non spettanti (con sanzione del 30 per cento). Ciò per l’evidente considerazione che, nella maggioranza delle ipotesi, la non spettanza del credito d’imposta è suscettibile di essere rilevata attraverso l’attività di controllo ex articolo 36-ter Dpr 600/1973, in conseguenza del confronto tra i dati esposti in dichiarazione e i documenti conservati ed esibiti dal contribuente.
Solamente quando il credito d’imposta è stato generato da operazioni simulate o da documenti falsi, ancorché lo stesso credito sia indicato in dichiarazione, si può considerare il credito come inesistente.