La fattispecie esaminata nella risposta n. 896 riguarda un consorzio che richiede, tra l’altro, se un determinato progetto possa essere classificato nei cosiddetti impianti pilota descritti dal Manuale di Frascati. E, in caso di risposta affermativa, se il beneficio del credito d’imposta per ricerca e sviluppo possa essere sommato al credito d’imposta per i beni industria 4.0.
In merito al primo quesito, sulla scorta dei princìpi già enunciati con la circolare n. 31/E del 23 dicembre 2020, l’Agenzia non risponde, poiché il quesito riguarda questioni tecniche non di sua competenza, e suggerisce al Consorzio istante di inoltrare al Mise un apposito interpello.
Nel caso in cui l’investimento avesse le caratteristiche per essere definito impianto pilota, l’Agenzia conferma la cumulabilità tra i crediti ricerca e sviluppo e beni strumentali Industria 4.0, ai sensi dell’articolo 1, comma 204 della legge 160/2019 e dell’articolo 1, comma 1059 della legge 178/2020.
Naturalmente è necessario che il cumulo non porti al superamento del costo sostenuto, tenendo conto anche dell’irrilevanza ai fini fiscali del credito d’imposta, come spiegato dal capitolo 6 della circolare n. 9/E del 23 luglio 2021. Esso prevede i seguenti passaggi:
1. determinare l’importo complessivo dei costi ammissibili per entrambe le agevolazioni al lordo dei contributi correlati a essi (A);
2. calcolare il credito di imposta teoricamente spettante (B);
3. determinare il beneficio ascrivibile alla non concorrenza del credito d’imposta alla formazione del reddito e della base imponibile Irap, di cui al penultimo periodo del comma 1059 dell’articolo 1 della legge 178/2020 (C);
4. individuare l’importo degli altri incentivi pubblici concessi sui medesimi investimenti (D);
5. sommare l’importo del credito teoricamente spettante (B) con il beneficio ascrivibile alla non concorrenza del credito d’imposta alla formazione del reddito e della base imponibile Irap (C) e con l’importo degli altri incentivi pubblici concessi sui medesimi investimenti (D).
La somma di B+C+D non deve superare il “costo sostenuto”; se è superiore, occorre ridurre corrispondentemente il credito di imposta spettante.
Sempre nella risposta n. 896/2021, in relazione ai beni strumentali nuovi allegato A, l’agenzia delle Entrate risponde al quesito sull’inclusione nella base di calcolo dell’agevolazione dei costi di posa in opera. Essi sono capitalizzabili ad incremento del costo del bene qualora costituiscano oneri accessori di diretta imputazione, in linea con l’articolo 110, comma 1, lettera b) del Tuir e con il principio contabile Oic 16.
Con il principio di diritto n. 2/2019, l’Agenzia aveva già affermato che l’iscrizione del costo di installazione tra gli oneri accessori trova un limite nella congruità di tale costo rispetto al costo di acquisto del bene. La congruità, in tale principio, è stata determinata in modo forfettario.
Tale limite forfettario non è però applicabile al caso in questione, ove la congruità dovrà invece essere dimostrata con le regole generali, producendo tutti gli elementi tecnici, economici, commerciali e settoriali che giustificano il sostenimento e la capitalizzazione dei costi di posa in opera, ai sensi dell’Oic 16, tra gli oneri accessori di diretta imputazione e la loro rilevanza ai sensi dell’articolo 110, comma 1, lettera b) del Tuir.
Da ultimo, l’agenzia delle Entrate ricorda che è lo stesso Oic 16 che pone a tutti i costi capitalizzabili, compresi gli oneri accessori, il limite del valore recuperabile del bene, ossia il maggiore tra il valore d’uso (valore dei flussi attesi dall’utilizzo del bene) ed il valore equo (fair value).