Crediti di imposta ricerca e sviluppo, più armi per i contribuenti
I contribuenti che decidono di non usufruire della sanatoria sui crediti di imposta ricerca e sviluppo, prevista dal Dl 146/2021 (riversamento dell’importo del credito), e che quindi proseguiranno il contenzioso nel caso vi sia già la notifica di un atto di recupero ovvero lo intraprenderanno per effetto di eventuali prossime contestazioni, oltre alle prime e importanti sentenze di merito tutte favorevoli al contribuente (si veda l’articolo in pagina) potranno citare a loro favore due ulteriori elementi:
1) il contenuto della relazione illustrativa che accompagna il citato Dl;
2) le due recenti sentenze (gemelle) 34443 e 34445 della Corte di Cassazione.
Nella relazione al Dl viene evidenziato che la materia ha richiesto ripetuti interventi di prassi a opera dell’agenzia delle Entrate e del ministero dello Sviluppo economico che, in alcuni casi, sono intervenuti in epoca successiva alla fruizione del beneficio da parte delle imprese
In tale contesto viene dato particolare rilievo alle risoluzioni 46/2018, 40/2019 e alla circolare 8/2019
Se si considera che nella stragrande maggioranza degli atti di recupero gli Uffici sostengono che l’applicazione dei principi del cosiddetto Manuale di Frascati fosse nota sin dal 2014, è il legislatore che ora smentisce tale tesi.
Non a caso, vengono citati i documenti di prassi del 2018 e 2019 in cui per la prima volta si iniziava a parlare dell’applicazione del contenuto del citato manuale, ai fini della fruizione del credito.
Le sentenze della Cassazione che intervengono sui termini di decadenza (quattro e non otto anni) per la rettifica di un credito (nella specie Iva) non spettante, forniscono poi utili indicazioni su cosa debba intendersi per credito inesistente.
I giudici al riguardo (partendo dai requisiti di legge), secondo cui il credito è inesistente quando manca il presupposto costitutivo, e quando tale mancanza sia evincibile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi dichiarati dal contribuente, rilevano ulteriormente che l’assenza del presupposto costitutivo equivale a una situazione giuridica creditoria non emergente dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente.
E ancora nell’enunciazione del principio di diritto viene precisato che è inesistente «il credito che non è, cioè, reale».
Tale circostanza è rilevante perché nella totalità delle contestazioni in materia, l’agenzia delle Entrate ritiene il credito di imposta ricerca e sviluppo compensato, inesistente per mancanza dei presupposti (in genere uno dei requisiti previsti dal ripetuto “Manuale di Frascati” o da altro documento di prassi).
È evidente che emergendo un simile credito dai dati contabili-patrimoniali-finanziari ora, in virtù di quanto precisato dalla Cassazione, al più si potrà parlare di credito non spettante ma non certamente inesistente (con tutte le conseguenze del caso sotto il profilo sanzionatorio amministrativo e penale)
A ciò va aggiunto (a ulteriore conferma che al più possa trattarsi di credito non spettante) che una simile violazione è comunque riscontrabile mediante il controllo ai sensi dell’articolo 36-ter del Dpr 600/73 lettera d) secondo il quale l’Ufficio può determinare i crediti d’imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti.
Un’ultima considerazione: se gli uffici avessero contestato in tutti questi casi la non spettanza del credito, coloro che nei prossimi mesi opteranno per la sanatoria mediante riversamento del credito, con ogni probabilità avrebbero effettuato in passato, prima della contestazione, il ravvedimento pagando la modesta sanzione del 6 per cento.
Si sarebbe evitata una sanatoria e l’erario ci avrebbe guadagnato (per l’appunto almeno il 6 per cento).