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Nota a margine della sentenza Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 09/09/2021) 13/10/2021, n. 37141.

Annullamento sequestro preventivo a carico dell’ente in caso di mascherine con marchio CE contraffatto.

Le Sezioni Unite hanno statuito, al riguardo, che in caso di sequestro a fini di confisca, anche per equivalente, spetta al giudice il compito non solo di verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca ma anche di valutare il periculum in mora, così come in ogni caso di sequestro preventivo tipico.

Questa in sintesi la vincendo processuale.

Il Tribunale di Ancona, con ordinanza del 23 aprile 2021 ha rigettato la richiesta di riesame, presentata nell’interesse della “Elio C4 s.r.l.” dal procuratore speciale G.N., avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP il 12 giugno 2020, in relazione all’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001art. 25-bis, comma 1, lett. a), riferibile al reato presupposto di cui all’ art. 515 c.p., sia in via diretta che per l’equivalente, sul denaro presente nei conti correnti della società fino alla concorrenza di Euro 421.548,00 quale profitto del reato.

Avverso tale pronuncia il procuratore speciale della predetta società propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati.

Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta competenza territoriale del GIP presso il tribunale di Ancona.

Osserva, a tale proposito, che il sequestro preventivo era stato disposto sul presupposto che la società avrebbe posto in commercio su tutto il territorio nazionale circa 354.000 mascherine chirurgiche con marchio CE certificato da un organismo non autorizzato e richiama l’attenzione sul fatto che, trattandosi di vendita di merce da piazza a piazza, in conformità con la giurisprudenza di questa Corte, il perfezionamento della vendita si sarebbe realizzato non con la spedizione della merce dall’unità produttiva, bensì con l’effettiva ricezione della stessa da parte degli acquirenti. Conseguentemente, sarebbe stato possibile, sulla base della documentazione acquisita, individuare il luogo e l’esatta data di accettazione da parte degli acquirenti ovvero la consegna della merce, determinando così la competenza territoriale.

Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del fumus del reato oggetto di provvisoria incolpazione, rappresentando che non vi sarebbe alcun riscontro del fatto che le mascherine fossero distribuite con un falso marchio CE, marchio che, entro certi parametri, non sarebbe neppure obbligatorio in considerazione delle deroghe introdotte dalla disciplina emergenziale e, segnatamente, dal D.L. n. 15 del 2020 e dalla Circolare del Ministero della Salute n. 3572 del 18 marzo 2020.

Rappresenta che, come emerge dalla documentazione in atti, le mascherine, acquistate da un importatore Europeo, erano descritte come mascherine protettive, perché sulle confezioni era espressamente indicato che il prodotto non è considerato dispositivo medico ed erano poste in commercio nel rispetto della disciplina emergenziale.

Con un terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, lamentando che il Tribunale avrebbe erroneamente considerato la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato di frode in commercio, atteso che la provenienza della merce era stata chiaramente dichiarata ed illustrata ed essa era corrispondente, per quantità e qualità, a quanto ordinato dagli acquirenti. Assume, inoltre, la carenza dell’elemento soggettivo del reato.

Con un quarto motivo di ricorso la violazione di legge ed il vizio di motivazione vengono dedotti assumendo che il Tribunale non avrebbe motivato in ordine all’eccezione di inammissibilità del sequestro per equivalente in considerazione del fatto che esso può essere disposto solo in caso di insufficienza di beni da sottoporre a confisca diretta. Difetterebbe, inoltre, il periculum connesso al reato oggetto di provvisoria imputazione.

Con un quinto motivo di ricorso lamenta l’errata individuazione del profitto e del suo ammontare, ricavato dal Tribunale sulla base degli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria, osservando come non vi sarebbe neppure la prova che la società abbia ricevuto il profitto e che quanto giacente sul conto della società fosse il ricavato della vendita delle mascherine.

Con un sesto motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione conseguente alla mancanza di motivazione in ordine alla richiesta subordinata di ridurre l’oggetto del sequestro preventivo.

Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.

Occorre preliminarmente individuare, perché ciò non è chiaramente indicato in ricorso e nel provvedimento impugnato, quale sia l’illecito in relazione al quale è stato emesso il decreto di sequestro e quale il reato presupposto.

Risulta dal provvedimento di sequestro che la misura cautelare reale è stata disposta in relazione all’illecito amministrativo di cui al D.Lgs n. 231 del 2001, art. 25-bis.1, comma 1, lett. a).

Ai sensi del D.Lgs n. 231 del 2001, art. 36, comma 1, la competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono.

Come emerge dal decreto di sequestro, risultano provvisoriamente contestati alla società, ai capi c) e d), due diversi illeciti di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25-bis.1, lett. a), in relazione a due distinti reati presupposto, essendo indicato, al capo a), quello di cui agli artt. 56 e 515 c.p. e, al capo b), quello di cui agli artt. 81 e 515 c.p..

Come emerge dal medesimo provvedimento, il GIP, conformemente alla richiesta del Pubblico Ministero, ha disposto il sequestro in relazione all’illecito di cui al capo c), rispetto al quale i reati presupposto sono quelli di cui al capo b).

Va osservato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che nell’ordinanza impugnata viene posto in evidenza il dato fattuale, ritenuto determinante, della disponibilità, da parte della società, di un unico magazzino dal quale le mascherine venivano spedite agli acquirenti.

Il Tribunale ha ritenuto pertanto tale luogo come quello ove era incentrata l’attività della società, rilevando come l’ultimo segmento della condotta posta in essere dall’indagato coincidesse con la spedizione della merce.

La difesa, come illustrato in premessa, è di diverso avviso e sostiene che il perfezionamento della vendita si sarebbe realizzato con l’effettiva ricezione della merce da parte degli acquirenti.

Ciò posto, deve rilevarsi, con riferimento al primo motivo di ricorso, che lo stesso è inammissibile per la genericità della censura, avendo la difesa eccepito l’incompetenza territoriale senza tuttavia specificare quale sarebbe, a suo avviso, il giudice territorialmente competente per i reati in continuazione oggetto di provvisoria incolpazione al capo b) e per l’illecito del quale essi costituiscono reato presupposto.

Ne ricorso, invero, richiamati principi generali si sostiene sostanzialmente, come ricordato in premessa, che sulla base della documentazione acquisita e delle indagini espletate sarebbe stato possibile determinare una diversa competenza territoriale, senza tuttavia specificare quale.

Deve dunque rilevarsi come questa Corte abbia già in precedenza affermato il principio secondo cui in materia cautelare (nella specie personale), l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dinanzi al tribunale del riesame è inammissibile per genericità se il ricorrente, nel formularla, non indichi chi debba essere, secondo la sua prospettazione, il GIP competente (Sez. 3, n. 7669 del 10/1/2012, Petrini, Rv. 252089).

Tale condivisibile principio, che va qui ribadito, ha trovato successiva conferma anche con riferimento al procedimento di cognizione, affermando che in nessun caso l’interessato può (imitarsi a contestare genericamente la competenza territoriale del giudice procedente senza indicare quello che a suo dire sarebbe competente (Sez. 2, n. 12071 del 19/12/2014 (dep. 2015), Carbone, Rv. 262769).

Per quanto riguarda invece il secondo e terzo motivo di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati, occorre rilevare come il Tribunale abbia posto in evidenza che le indagini esperite dalla polizia giudiziaria avevano consentito di accertare, presso una farmacia, che il titolare della stessa aveva acquistato dalla società ricorrente duemila mascherine chirurgiche ed aveva esibito agli operanti un documento di trasporto (DDT), emesso dalla stessa società, al quale era annesso un certificato, rilasciato dalla “Shenzen Testing Technology Co. Ltd.”, attestante la conformità delle mascherine al Reg. 2017/45/EU e recante la marchiatura “CE”.

Aggiungono i giudici del riesame che la polizia giudiziaria aveva poi verificato che la società predetta non era abilitata al rilascio di certificazioni e non era inserita nella banca dati che contiene i nominativi degli organismi notificatori abilitati al rilascio delle certificazioni CE. Veniva altresì accertato, osserva ancora il Tribunale, che diverse copie di tali certificati erano presenti nel magazzino della società ricorrente unitamente a mascherine contenute in un blister recante la marcatura CE ed a tre scatole di etichette adesive, recanti la stessa marcatura CE, apponibili sui blister delle mascherine.

Nell’ordinanza impugnata viene dato conto anche del fatto che, da una e-mail allegata al ricorso, si evincerebbe che la società offriva le mascherine protettive ad acquirenti (nella specie, un ospedale) che richiedevano espressamente mascherine chirurgiche con specifici standard di sicurezza, evidentemente facendo affidamento sulle predette certificazioni.

Viene anche considerato che l’amministratore della società disponeva di conoscenze e capacità per verificare la genuinità e regolarità delle certificazioni di conformità relative ai prodotti da lui acquistati e venduti, non rilevando, a tale proposito, la buona fede derivante dal semplice fatto che l’acquisto era stato effettuato attraverso un importatore Europeo.

Si tratta, ad avviso del Collegio, di un accertamento in fatto che evidenzia un’individuazione del fumus del reato giuridicamente corretta.

A tale proposito, occorre ricordare che l’ambito di operatività della competenza del giudice del riesame è stato delimitato, dalla giurisprudenza di questa Corte, alla verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare, che non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi (Sez. U, n. 7 del 23/2/2000, Mariano, Rv. 215840 ed altre succ. conf.), pur permanendo l’obbligo di esaminare anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del “fumus” del reato contestato (Sez. 3, n. 58008 del 11/10/2018, Morabito, Rv. 274693; Sez. 3, n. 27715 del 20/5/2010, Barbano, Rv. 248134; Sez. 3, n. 18532 del 11/3/2010, D’Orazio, Rv. 247103).

Quanto alla valutazione sull’elemento soggettivo del reato, si è ripetutamente affermato che il controllo demandato al giudice del riesame sulla concreta fondatezza dell’ipotesi accusatoria secondo il ricordato parametro del fumus del reato può riguardare anche l’eventuale difetto dell’elemento soggettivo, purchè di immediato rilievo (Sez. 6, n. 16153 del 6/2/2014, Di Salvo, Rv. 259337; Sez. 2, n. 2808 del 2/10/2008, (dep. 2009), Bedino, Rv. 242650; Sez. 4, n. 23944 del 21/5/2008, Di Fulvio, Rv. 240521; Sez. 1, n. 21736 del 11/5/2007, Citarella, Rv. 236474. Si veda anche Corte Cost. ord. 157, 18 aprile 2007, menzionata in gran parte delle ricordate decisioni).

Il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, indipendentemente dall’accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell’elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all’adozione della misura cautelare reale (Sez. 3, n. 26007 del 5/4/2019, Pucci, Rv. 276015; Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018, Armeli, Rv. 273069; Sez. 2, n. 5656 del 28/1/2014, P.M. in proc. Zagarrio, Rv. 258279; Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi, Rv. 257383; Sez. 6, n. 10618 del 23/2/2010, P.M. in proc. Olivieri, Rv. 246415; Sez. 1, n. 15298 del 4/4/2006, Bonura, Rv. 234212 ed altre prec. conf.).

Tenuto conto di tali principi, deve rilevarsi che i motivi di ricorso in esame non si confrontano se non parzialmente con le argomentazioni sviluppate dal Tribunale, richiamando la disciplina di settore e prospettando alcune circostanze di fatto con richiamo ad atti e documenti allegati al ricorso la cui disamina, come è noto, è preclusa a questa Corte.

Va inoltre rilevata la inammissibilità delle censure rivolte alla motivazione del provvedimento impugnato denunciandone la contraddittorietà e la manifesta illogicità.

Occorre infatti ricordare che la costante giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente espressa nel senso che il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro (probatorio o preventivo) può essere proposto esclusivamente per violazione di legge e non anche con riferimento ai motivi di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), pur rientrando, nella violazione di legge, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali (Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, Bevilacqua, Rv. 226710. V. anche Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, Napoli e altro, Rv. 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/7/2016 (dep. 2017), Faiella, Rv. 269296; Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 35532 del 25/6/2010, Angelini, Rv. 248129; Sez. 6, n. 7472 del 21/1/2009, Vespoli, Rv. 242916; Sez. 5, n. 8434 del 11/1/2007, Ladiana, Rv. 236255).

La mera apparenza della motivazione, peraltro, è stata individuata nell’assenza dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (da ultimo, Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, Napoli e altro, Rv. 269656, cit. ed altre prec. conf.).

Infondato risulta, inoltre, il quarto motivo di ricorso, laddove si denuncia la mancanza di motivazione in ordine all’eccezione di inammissibilità del sequestro per equivalente in quanto esperibile solo nel caso di insufficienza di beni da sottoporre a confisca diretta.

Il motivo di ricorso è, in primo luogo generico, perché si limita a prospettare la questione ricordando la priorità del sequestro diretto senza alcuna indicazione di elementi idonei a dare concretezza alla censura.

Inoltre risulta espressamente, dal provvedimento impugnato, che il sequestro è stato disposto “sia in via diretta che per equivalente” e tale assunto trova conferma nel decreto che dispone la misura cautelare reale ove, nella motivazione, viene specificato che il sequestro è finalizzato “alla confisca (anche per equivalente D.Lgs. n. 2311 del 2001, ex art. 19)” della somma indicata e, nel dispositivo, che in relazione all’illecito amministrativo di cui a capo c) la misura viene disposta “sul denaro giacente sui conti correnti” riconducibili alla società e comunque nella sua disponibilità “e per equivalente, in caso di incapienza” sui beni mobili ed immobili appartenenti alla società medesima fino alla concorrenza del valore indicato.

A diverse conclusioni deve invece pervenirsi con riferimento alla valutazione del periculum, che si assume omessa dai giudici del riesame.

Occorre a tale proposito rilevare che il Tribunale ha, verosimilmente, ritenuto implicitamente irrilevante la questione, tenendo evidentemente conto di quella giurisprudenza (richiamata peraltro anche dal Pubblico Ministero nella richiesta di sequestro testualmente riprodotta nel decreto del GIP) secondo cui, in caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, spetta al giudice il solo compito di verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, essendo invece irrilevante sia la valutazione del “periculum” in mora – che attiene ai requisiti del sequestro preventivo impeditivo di cui all’art. 321 c.p.p., comma 1, – sia quella inerente alla pertinenzialità dei beni (Sez. 2, n. 31229 del 26/6/2014, Borda, Rv. 260367).

Ciò in quanto si ritiene che il sequestro per equivalente rientri nell’ambito del sequestro ai fini di confisca di cui all’art. 321 c.p.p., commi 2 e 2-bis e costituisca una figura specifica ed autonoma rispetto al sequestro preventivo regolato dal comma 1 dello stesso articolo, con la conseguenza che non risulta necessaria la presenza dei requisiti di applicabilità previsti per il sequestro preventivo tipico, essendo sufficiente il presupposto della confiscabilità, non venendo neppure in considerazione alcuna prognosi di concreta pericolosità connessa alla libera disponibilità delle cose medesime, le quali, proprio perché confiscabili, sono di per sé oggettivamente pericolose, indipendentemente dal fatto che si versi in materia di confisca facoltativa o obbligatoria (ex pl., Sez. 3, n. 47684 del 17/09/2014, Mannino, Rv. 261242, cit.).

Si tratta, tuttavia, di un orientamento non univoco che ha determinato, come ricordato in ricorso, la sottoposizione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte affinché fosse stabilito se il provvedimento di sequestro preventivo di beni finalizzato alla confisca facoltativa previsto dall’art. 321 c.p.p., comma 2, richieda o meno la motivazione in ordine alla sussistenza del requisito del “periculum in mora“.

All’udienza del 24 giugno 2021 le Sezioni Unite, al quesito proposto, hanno dato risposta affermativa salvo che nel caso di sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2.

Le motivazioni della decisione appena richiamata non sono state ancora depositate, ma anche sulla base dell’informazione provvisoria può rilevarsi come, nella fattispecie, manchi una motivazione adeguata in ordine al requisito del periculum che le Sezioni Unite hanno ormai indicato come necessaria.

Il quinto motivo di ricorso è invece inammissibile perché si risolve in una censura sulla motivazione del provvedimento che ha espressamente riconosciuto la correttezza della valutazione operata dal GIP. Va peraltro ricordato che, ai fini della determinazione dell’ammontare del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, non vi è necessità di accertare l’esatta corrispondenza fra profitto e quantum sequestrato, essendo sufficiente che il giudice motivi, in linea di massima, sulla non esorbitanza di quanto sequestrato, salvi, ovviamente, gli eventuali più approfonditi accertamenti da svolgersi nel giudizio di merito. Ne consegue che, laddove la valutazione del giudice risponda a tali criteri, essa è insindacabile in sede di legittimità. Il provvedimento del tribunale del riesame che conferma il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può essere, infatti, ritenuto illegittimo nel solo caso in cui non contenga alcuna valutazione sul valore dei beni sequestrati; valutazione necessaria al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, non essendo consentito differire l’adempimento estimatorio alla fase esecutiva della confisca (così, testualmente, in motivazione, Sez. 3, n. 39091 del 23/4/2013, Cianfrone, Rv. 257284).

La valutazione effettuata dai giudici del riesame riguardo alla quantificazione del profitto rende evidente l’implicito rigetto della richiesta subordinata di cui tratta il sesto motivo di ricorso, dal momento che il sindacato del Tribunale del riesame, lungi dall’estendersi ad ogni questione prospettata dal ricorrente, resta comunque vincolato entro limiti ben precisi, rappresentati dalla effettiva rilevanza della questione dedotta.

Conseguentemente, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio limitatamente alla sussistenza del periculum in mora, che il giudice del rinvio dovrà valutare alla luce delle indicazioni fornite dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite.

P.Q.M.

Annulla, limitatamente alla valutazione della sussistenza del periculum per il sequestro, la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Ancona.

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