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Statuto delle Srl, nullo il contratto senza l’ok dei soci

L’amministratore che lo stipula violerebbe una norma imperativa

È nullo il contratto stipulato dall’amministratore di una Srl quando comporta una «sostanziale modificazione dello statuto sociale» e non ha ottenuto il previo placet dei soci. Lo decide il Tribunale di Roma con la sentenza numero 1722 del 27 gennaio 2020, diffusa solo di recente, reiterando identiche decisioni che il Tribunale medesimo aveva adottato il 28 aprile 2011 e il 3 agosto 2018 (in precedenza solo una sentenza del Tribunale di Piacenza del 14 marzo 2016 che ha deciso per l’annullabilità e non per la nullità). La decisione (riguardante un contratto con il quale una società veniva privata dell’intero patrimonio) si fonda sul fatto che l’articolo 2479, comma 2, numero 5), del Codice civile, attribuisce inderogabilmente ai soci l’assunzione della «decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale» o «una rilevante modificazione dei diritti dei soci»: ne consegue che l’amministratore violerebbe una norma imperativa se stipulasse il contratto non sottoposto a una preventiva favorevole decisione dei soci, con la conseguente nullità di questo contratto (ai sensi dell’articolo 1418 del Codice civile).
Né potrebbe opporsi, secondo il Tribunale, che, ai sensi dell’articolo 2475-bis del Codice civile, gli amministratori «hanno la rappresentanza generale della società» e che «le limitazioni ai poteri degli amministratori» «anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, salvo che si
provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società», in quanto la riserva di competenza dei soci su queste decisioni risulta direttamente dalla legge e non si presta a trovare regolamentazione nell’articolo 2475-bis del Codice civile, dal quale invece pacificamente si desume che non sono tacciabili di invalidità:
? l’atto episodicamente compiuto dall’amministrazione al di fuori del perimetro dell’oggetto sociale (nel caso in esame si ha invece una modifica permanente dell’oggetto sociale);
? l’atto compiuto dall’amministratore in eccesso rispetto ai suoi poteri a meno che non si dimostri (ma è notoriamente una probatio diabolica) l’intenzionale agire del terzo ai danni della società.
La decisione del Tribunale di Roma suscita perplessità in quanto rende rilevanti, all’esterno della società, questioni che la Riforma del 2003 ha chiaramente inteso confinare all’interno della compagine sociale, proprio perché le patologie interne non si riverberino all’esterno, minando la serenità delle contrattazioni: in modo, cioè, che l’operato dell’amministratore non ridondi sui contratti che il medesimo stipula ma abbia conseguenze solo a livello di responsabilità dell’amministratore verso la società amministrata (nonché i suoi soci e i suoi creditori) e a livello di giusta causa di revoca dell’amministratore dal suo incarico. Anche perché non è facile, per i terzi estranei alla società, giudicare se il contratto stipulato dall’amministratore comporti «una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale» «o una rilevante modificazione dei diritti dei soci»: ad esempio, nel caso esaminato dalla sentenza 1722/2020, si trattava di un’alienazione immobiliare concernente l’intero patrimonio della società e, dando credito alla sentenza, vorrebbe dire che il terzo contraente dovrebbe farsi carico di svolgere indagini sulla consistenza patrimoniale della società con la quale contrae, il che appare un onere francamente eccessivo.

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